How are you?
November 9, 2021

capitolo II


Bevvi un sorso di quello che mi sembrò nettare degli dei in confronto ai surrogati alcolici che mi passava la drogheria sotto casa.
< D’accordo, è buono. Ma non ti basterà un pò di… non so nemmeno cosa sia, per comprarmi. >
< Qui nessuno cerca di comprare nessuno, Anders. Quando ti avrò spiegato di cosa si tratta vorrai essere coinvolto. Ora lascia che ti spieghi. >
Alexander parlò a lungo del suo progetto, della vacuità della società moderna, del nostro posto nell’onda di cambiamento che sarebbe, a quanto diceva, presto arrivata, e perfino del fatto che era nostro dovere agire per l’interesse comune, concetto di cui dubitavo conoscesse il significato.
< Se puoi vedere attraverso l’illusione, sei parte della soluzione. > sentenziò come conclusione.
< L’ho sentita da qualche parte… >
< Puoi averla anche sognata, Anders, ma il punto del discorso è che noi due facciamo parte, nolenti o volenti, di un esiguo gruppo di individui che vede la realtà per quello che è e che sa esattamente come potrebbe essere. Nel bene e nel male, abbiamo il dovere di agire.
Ogni manovra di persuasione che si rispetti fa appello prima alla curiositĂ , poi alla vanitĂ  e, per ultimo, alla bontĂ  o al rimorso; noi eravamo giĂ  oltre la seconda.
< Volevi tanto sentirti parte di un movimento, essere coinvolto in qualcosa di grandioso, e ora che ne hai l’opportunità… cosa ti prende? >
Lunghe ombre prendevano il volo dalle fiamme ora scarlatte del camino per lambire i lineamenti affilati del volto di Alexander, rivelandone i tratti tipici della delusione e del rimprovero.
Sfortunatamente per lui non mi trovavo nelle condizioni di sentire la disapprovazione di qualcun altro, e così rimasi indifferente alla sua leva emotiva; lui se ne accorse.
< C’e qualcosa che non mi stai dicendo, vecchio mio. > disse con un tono più amichevole che sembrava quasi punteggiato di apprensione. < C’è qualcosa che ti turba, non è vero? >
Io non risposi, non a parole almeno. Essendo cresciuti insieme conosceva il mio linguaggio del corpo come il palmo della sua mano e non ci volle molto affinché lui intuisse di avere ragione.
A quel punto la sera aveva lasciato il passo alla notte. Cupe nuvole si addensavano fuori da quelle mura che non sapevo se considerare amichevoli o nemiche. Il tempo cambia, a volte. E così anche le persone.
< Gli ultimi giorni non sono stati molto gentili con me. >
Nel dirlo potevo quasi sentire la mia flemma abbandonare il mio corpo.
< Possiamo anche dire le ultime settimane, piĂą che giorni. > aggiunsi.
Alexander mi guardava spronandomi ad andare avanti e pensai che non avevo nulla da perderci.
< Ti ricordi due estati fa, siamo andati via da questo posto, da questa città che ci pareva così distante dai nostri ideali, e abbiamo visto … altri paesaggi, altri orizzonti. Eravamo, o meglio ero, spensierato. Sentivo un oceano dentro di me che si muoveva pieno di possibilità. La vita mi pareva un’avventura degna di essere intrapresa. Ora è tutto grigio, mi alzo la mattina e il mondo è ancora lì, come due anni fa, ma io lo guardo con occhi diversi. Ho perso qualcosa, e non so come ritrovarlo. >
Alexander si fece pensieroso, come se gli avessi sbloccato un ricordo lontano nel tempo, che forse aveva cercato di seppellire.
< Quell’estate … è stata fantastica, Anders. La fuga precipitosa da come dici tu, questo luogo, senza un piano né un preavviso… eppure ci sentivamo immortali. Prendemmo una delle mie auto, telefonammo a tutti i nostri più cari amici e qualcuno si convinse a partire con noi. >
Parlava come se stesse avendo una visione, alternando sguardi nostalgici a sorrisi amari, fino a mostrare una certa dose di allegria nella sua voce.
< Vedemmo il mare, che era sempre lo stesso, ma decine di spiagge diverse. Continuavamo ad andare oltre: la mattina accendevamo il motore e percorrevamo le strade del mondo, di un mondo nuovo, finché non ce la facevamo più e la nostra marcia si interrompeva in un luogo incantato. E se ti ricordi, questo accadeva ogni giorno. Ogni nuovo giorno. >
< Il sole sorgeva sui nostri visi come se fossimo gli unici a sentirne davvero il calore. > commentai.
< Mi ero quasi dimenticato della tua vena poetica. > disse, abbozzando un sorriso.
< Ultimamente è stata nascosta. Così come il sole che mi portavo dentro, ora sembra spenta. >
< Dobbiamo fare qualcosa… >
< Sì, ma cosa?! > sbottai d’istinto. Erano settimane che mi ponevo lo stesso interrogativo.
Mi parve di scorgere una punta di malizia nell’increspatura delle sue labbra.
Se mi stava manipolando non lo dette a vedere.
< Raccontami dei nostri amici, come se la passano? Sono mesi che non li sento… >
< Questo perché pensi solo ai tuoi obiettivi. >
< Qualcuno deve pur pensarci. >
Mi voltai e presi una boccata d’aria, la finestra aperta lasciava entrare un soffio fresco che arrivava da chissà dove. Poi mi alzai.
< La maggior parte sta inseguendo un’ombra… no, aspetta. Mi correggo. Stanno seguendo i loro obiettivi, e non ho il diritto di sminuirli. > dissi tanto per cominciare.
< Mi sembra corretto, cos’altro? > incalzò il mio interlocutore.
< Lo puoi immaginare. Fanno le stesse cose che facevano anni fa soltanto che ora sono più grandi e frequentano le accademie. Il gruppo si è sfaldato, in ogni caso. Ora ci sono elementi nuovi, al posto di alcuni che sono rimasti indietro, per esempio noi due. >
< Indietro rispetto a cosa? Sia chiaro che è una domanda, senza nessuna presunzione. > disse alzando le braccia come in segno di resa.
< Rispetto al loro ideale? > chiesi a me stesso. < Le persone tendono a riunirsi e a restare insieme perché hanno qualcosa da condividere. Qualcosa che ai membri del gruppo interessa. Può essere la carriera, o un passatempo, una visione per il futuro o la passione per una insolita attività. >
< Compatibilità. > scandì lentamente Alexander, come se la parola stessa racchiudesse la chiave della risposta che cercavamo.
< Sì… credo che riassuma abbastanza bene la questione. >
Lasciammo cadere l’argomento nello spazio che ci separava. Per un attimo scorsi un lampo sul suo viso e pensai che fosse inquietante, ma poi realizzai che si trattava del fuoco: le sue fiamme sfumavano verso un giallo pallido.
Quella notte la passai fra quelle pareti che avevano così bene accumulato i ricordi della mia infanzia che oramai vedevo il fantasma del bambino che ero stato vagare per quei corridoi lucenti, saltare sui divani pieni di cuscini ricamati a mano, aprire con difficoltà i finestroni cha davano sulla veranda… o perché no, correre schivando mobilia e domestici nel tentativo di acciuffare un piccolo e innocente Alexander, all’epoca semplicemente Alex, il quale come sempre adorava ribellarsi alle regole della casa e sfidare anche me a fare lo stesso..