capitolo II
Bevvi un sorso di quello che mi sembrò nettare degli dei in confronto ai surrogati alcolici che mi passava la drogheria sotto casa.
< D’accordo, è buono. Ma non ti basterà un pò di… non so nemmeno cosa sia, per comprarmi. >
< Qui nessuno cerca di comprare nessuno, Anders. Quando ti avrò spiegato di cosa si tratta vorrai essere coinvolto. Ora lascia che ti spieghi. >
Alexander parlò a lungo del suo progetto, della vacuità della società moderna, del nostro posto nell’onda di cambiamento che sarebbe, a quanto diceva, presto arrivata, e perfino del fatto che era nostro dovere agire per l’interesse comune, concetto di cui dubitavo conoscesse il significato.
< Se puoi vedere attraverso l’illusione, sei parte della soluzione. > sentenziò come conclusione.
< L’ho sentita da qualche parte… >
< Puoi averla anche sognata, Anders, ma il punto del discorso è che noi due facciamo parte, nolenti o volenti, di un esiguo gruppo di individui che vede la realtà per quello che è e che sa esattamente come potrebbe essere. Nel bene e nel male, abbiamo il dovere di agire.
Ogni manovra di persuasione che si rispetti fa appello prima alla curiositĂ , poi alla vanitĂ e, per ultimo, alla bontĂ o al rimorso; noi eravamo giĂ oltre la seconda.
< Volevi tanto sentirti parte di un movimento, essere coinvolto in qualcosa di grandioso, e ora che ne hai l’opportunità … cosa ti prende? >
Lunghe ombre prendevano il volo dalle fiamme ora scarlatte del camino per lambire i lineamenti affilati del volto di Alexander, rivelandone i tratti tipici della delusione e del rimprovero.
Sfortunatamente per lui non mi trovavo nelle condizioni di sentire la disapprovazione di qualcun altro, e così rimasi indifferente alla sua leva emotiva; lui se ne accorse.
< C’e qualcosa che non mi stai dicendo, vecchio mio. > disse con un tono più amichevole che sembrava quasi punteggiato di apprensione. < C’è qualcosa che ti turba, non è vero? >
Io non risposi, non a parole almeno. Essendo cresciuti insieme conosceva il mio linguaggio del corpo come il palmo della sua mano e non ci volle molto affinché lui intuisse di avere ragione.
A quel punto la sera aveva lasciato il passo alla notte. Cupe nuvole si addensavano fuori da quelle mura che non sapevo se considerare amichevoli o nemiche. Il tempo cambia, a volte. E così anche le persone.
< Gli ultimi giorni non sono stati molto gentili con me. >
Nel dirlo potevo quasi sentire la mia flemma abbandonare il mio corpo.
< Possiamo anche dire le ultime settimane, piĂą che giorni. > aggiunsi.
Alexander mi guardava spronandomi ad andare avanti e pensai che non avevo nulla da perderci.
< Ti ricordi due estati fa, siamo andati via da questo posto, da questa città che ci pareva così distante dai nostri ideali, e abbiamo visto … altri paesaggi, altri orizzonti. Eravamo, o meglio ero, spensierato. Sentivo un oceano dentro di me che si muoveva pieno di possibilità . La vita mi pareva un’avventura degna di essere intrapresa. Ora è tutto grigio, mi alzo la mattina e il mondo è ancora lì, come due anni fa, ma io lo guardo con occhi diversi. Ho perso qualcosa, e non so come ritrovarlo. >
Alexander si fece pensieroso, come se gli avessi sbloccato un ricordo lontano nel tempo, che forse aveva cercato di seppellire.
< Quell’estate … è stata fantastica, Anders. La fuga precipitosa da come dici tu, questo luogo, senza un piano né un preavviso… eppure ci sentivamo immortali. Prendemmo una delle mie auto, telefonammo a tutti i nostri più cari amici e qualcuno si convinse a partire con noi. >
Parlava come se stesse avendo una visione, alternando sguardi nostalgici a sorrisi amari, fino a mostrare una certa dose di allegria nella sua voce.
< Vedemmo il mare, che era sempre lo stesso, ma decine di spiagge diverse. Continuavamo ad andare oltre: la mattina accendevamo il motore e percorrevamo le strade del mondo, di un mondo nuovo, finché non ce la facevamo più e la nostra marcia si interrompeva in un luogo incantato. E se ti ricordi, questo accadeva ogni giorno. Ogni nuovo giorno. >
< Il sole sorgeva sui nostri visi come se fossimo gli unici a sentirne davvero il calore. > commentai.
< Mi ero quasi dimenticato della tua vena poetica. > disse, abbozzando un sorriso.
< Ultimamente è stata nascosta. Così come il sole che mi portavo dentro, ora sembra spenta. >
< Dobbiamo fare qualcosa… >
< Sì, ma cosa?! > sbottai d’istinto. Erano settimane che mi ponevo lo stesso interrogativo.
Mi parve di scorgere una punta di malizia nell’increspatura delle sue labbra.
Se mi stava manipolando non lo dette a vedere.
< Raccontami dei nostri amici, come se la passano? Sono mesi che non li sento… >
< Questo perché pensi solo ai tuoi obiettivi. >
< Qualcuno deve pur pensarci. >
Mi voltai e presi una boccata d’aria, la finestra aperta lasciava entrare un soffio fresco che arrivava da chissà dove. Poi mi alzai.
< La maggior parte sta inseguendo un’ombra… no, aspetta. Mi correggo. Stanno seguendo i loro obiettivi, e non ho il diritto di sminuirli. > dissi tanto per cominciare.
< Mi sembra corretto, cos’altro? > incalzò il mio interlocutore.
< Lo puoi immaginare. Fanno le stesse cose che facevano anni fa soltanto che ora sono più grandi e frequentano le accademie. Il gruppo si è sfaldato, in ogni caso. Ora ci sono elementi nuovi, al posto di alcuni che sono rimasti indietro, per esempio noi due. >
< Indietro rispetto a cosa? Sia chiaro che è una domanda, senza nessuna presunzione. > disse alzando le braccia come in segno di resa.
< Rispetto al loro ideale? > chiesi a me stesso. < Le persone tendono a riunirsi e a restare insieme perché hanno qualcosa da condividere. Qualcosa che ai membri del gruppo interessa. Può essere la carriera, o un passatempo, una visione per il futuro o la passione per una insolita attività . >
< Compatibilità . > scandì lentamente Alexander, come se la parola stessa racchiudesse la chiave della risposta che cercavamo.
< Sì… credo che riassuma abbastanza bene la questione. >
Lasciammo cadere l’argomento nello spazio che ci separava. Per un attimo scorsi un lampo sul suo viso e pensai che fosse inquietante, ma poi realizzai che si trattava del fuoco: le sue fiamme sfumavano verso un giallo pallido.
Quella notte la passai fra quelle pareti che avevano così bene accumulato i ricordi della mia infanzia che oramai vedevo il fantasma del bambino che ero stato vagare per quei corridoi lucenti, saltare sui divani pieni di cuscini ricamati a mano, aprire con difficoltà i finestroni cha davano sulla veranda… o perché no, correre schivando mobilia e domestici nel tentativo di acciuffare un piccolo e innocente Alexander, all’epoca semplicemente Alex, il quale come sempre adorava ribellarsi alle regole della casa e sfidare anche me a fare lo stesso..