The Chronicles of Naska Lubich
March 8, 2022

La Soffitta

La soffitta era calda, un calore soffocante come uno spazio immobile. L’aria sembrava muoversi al rallentatore come in un sogno e il sole entrava dai lucernari opachi trasformando la polvere sospesa del vuoto in sculture di luce dello stesso colore della sabbia.

Ero lì per nessun motivo, se non per fuggire da me stesso, dalle mie responsabilità e dall’inesorabile uire dei secondi. Quest’ultimo dettaglio mi premeva ben più degli altri, mi consumava come il mare erode la roccia e il vento le montagne, sebbene, delle tre, è l’unica cosa che non posso controllare.

La calma di quel luogo mi era sempre sembrata surreale. Essere lì equivaleva a varcare una soglia la cui natura, forse prettamente psicologica, mi sfugge tutt’oggi.
Con l’intenzione di aspettare la quiete dopo la tempesta, mi avvicinai al divano, arenato come un relitto fra la mobilia cadente. Pregustavo un sonno senza sogni fra i suoi cuscini intessuti di ricami e di ricordi, tuttavia mi arrestai lì davanti: i miei occhi avevano captato una novità, un oggetto che non c’era le volte precedenti, in denitiva una incongruenza. Come svegliarsi una mattina accanto a un corpo che si conosce a memoria, sorarne la pelle sapendo già quale percorso si cela più avanti, e all’improvviso scorgere con sorpresa — e un pizzico di spavento — una cicatrice. Come se il sole fosse d’un tratto verde smeraldo, quel foglio bianco — perché di questo si trattava — si stagliava imponente sulla scrivania di mogano rompendo lo schema prestabilito delle cose, disallineando la mappa in tre dimensioni che la luce di quella stanza aveva impresso dentro di me dopo le innumerevoli ore che avevo speso in quel rifugio.

<< Qualcuno deve averlo messo lì. >> dissi pensando ad alta voce. << C’è troppa... precisione, ordine nel modo in cui è posizionato. E poi, da dove potrebbe venire? Non c’è nessuna pila o risma... >>
Il dubbio serpeggiava fra i nodi della mia attenzione, ma la curiosità che mi ispirava quella distesa bianca — come uno spazio ricco di possibilità — era un afrodisiaco a cui non ci si poteva opporre.

Impugnai la penna vicino al foglio, malsicuro di come maneggiarla, e a un millimetro dalla carta mi bloccai, interrotto da un muro di incertezze: << non so cosa scrivere... >> feci appena in tempo a pronunciare.
Fu quello il mio ultimo, evanescente, pensiero razionale prima che un vortice di parole risucchiasse tutto il mondo che conoscevo nelle profondità, sconosciute, del mare del subconscio.

Quando riemersi alla luce di un crepuscolo del colore del rame, sapevo con spaventosa certezza di non essere la stessa persona che aveva cominciato a scrivere alcune ore prima. Una rete senza riguardi né delicatezza aveva trafugato idee dal luogo più oscuro (nascosto) che la mente umana possa costruire in se stessa, lasciandomi un sapore amaro sulle labbra — come un bacio disperato.