parte seconda
Sapevo com’era fatto Mike, ma devo ammettere che si superò quella sera.
L’ingresso della vecchia libreria si trovava incastonato fra un supermercato e una pasticceria verso la fine di SouthStreet. Sebbene il corridoio iniziale fosse stretto, lo spazio che si apriva oltre mi era sempre sembrato infinito. Di certo era enorme, ma lo stato di abbandono in cui versava lo aveva reso spettrale e buio, come se davvero non avesse confini.
“Mike, Mike… ma che mi combini” dissi più tra me e me. Gli alti scaffali e i corridoi che essi formavano erano ancora lì, forse un po’ storti e disallineati, ma ancora maestosi. Su ogni mensola o ripiano delle strisce luminose contribuivano a creare l’atmosfera di un rave party illegale. Al centro della libreria era stata creata un’enorme pista di ballo circolare visibile anche dai piani superiori; in alcuni anfratti invece erano stati posizionati dei puff e altre sorte di divanetti o poltroncine prese chissà dove, segno che c’era un luogo per ballare e uno per condividere momenti più intimi.
“Ehi, Kyra. Buona fortuna con quel tipo.” le augurai prima di salutarci.
“Anche tu dovresti divertirti Hannah, buona caccia.” disse facendomi l’occhiolino.
La vidi allontanarsi e farsi strada nella folla che si andava creando alla ricerca del suo principe azzurro. Per un lungo attimo il mio cuore si riempì di apprensione, “e se davvero questo posto fosse senza fine e Kyra si perdesse? O peggio?” Scacciai via quel terribile pensiero infantile, eppure mi rimase una spiacevole sensazione. “Sarà la sete” affermai.
A metà serata, o nottata, e dopo innumerevoli shottini, un tipo non poco attraente mi sorprese alle spalle e per poco non lanciai in aria lui e il drink che avevo in mano.
“Hannah, sono io, Mike” disse con un enorme sorrisone.
“Hai bevuto anche tu o sbaglio? Comunque è bello sapere che sei ancora vivo. E che ancora sai organizzare una festa decente” dissi girandomi verso la pista.
“Ti stai divertendo? Scommetto che non reputi nessuno dei presenti come “alla tua altezza” altrimenti saresti venuta con un abito meno… beh, che sembri meno un pijama e più un vestito da sera.”
“Cazzo. Senti, Mike. Te lo concedo, ci conosciamo da una vita, ma non ti permetto di insultare il mio pijama da sera preferito, okay?” Ero divertita e rilassata finalmente, Mike era l’unico ragazzo abbastanza uomo da trattarmi così. Senza peli sulla lingua, senza timore che potessi lasciarlo lì per qualcun altro. Dopotutto eravamo amici fin da bambini e non c’era mai stato niente di serio fra noi due. “…okay?” Sottolineai il concetto.
Lui rise di gusto, muovendo tutto il petto.
“Lo sai, mi sei mancata anche tu. Non è la stessa cosa andare ad una festa e non sentire i tuoi commenti sferzanti sugli invitati, o gli imbucati, o su chi si sta facendo chi, in chissà quale angolo buio e maleodorante.
“Si, devo ammetterlo, sono la migliore.” L’alcol cominciava ad avere effetto. La mia solita depressione era stata assopita e domata, almeno per qualche ora, lasciando spazio alla gioia intensa che si prova tramite l’alcol. O altre sostanze.
“Mike…” mi appoggiai alla sua spalla e lui mi tirò a sé, per sorreggermi o per sentire il mio corpo a contatto con il suo, non lo capii. Gli diedi da bere il mio drink e lui lo appoggiò su uno scaffale, segno che se n’era fatti già troppi o che non voleva bere affatto, il che non sarebbe da lui.
“Hannah..” La voce un sussurro. Lenta, penetrante, sensuale.
Io lo guardai inclinando il viso dolcemente e per un secondo vidi il mio riflesso nei suoi occhi, ero incantevole, i capelli color pesca incorniciavano le linee gentili del mio viso sfiorando le spalle scoperte e ricadendo infine lungo la schiena. Il mio abito da sera era rimasto nell’armadio e ciò nonostante i ragazzi si giravano a guardarmi quando passavo. Ciò che avevo indosso non ero proprio un pijama, più un vestito sexy ma comodo, (recuperato da un vecchio pijama, ma shh).
A differenza di Kyra, con il suo abito pieno di spaccature che le scoprivano la pelle, io ero molto più coperta. E tuttavia Mike mi strinse a sé facendomi sentire i suoi possenti avambracci sulla mia esile schiena. Mi baciò ripetutamente sul collo e più giù verso la spalla, con fervore e forse un pizzico di arroganza, mi piaceva. La musica riempiva le nostre teste e ci impediva di pensare, la folla di ragazzi impazzava sulla pista e nelle retrovie, l’aria era pesante ma ti entrava nei polmoni e ti drogava, e a volte non era una metafora.
Mike tutt’a un tratto si fece più insistente: le sue mani, dapprima intrecciate con la mia aleggiante chioma, scivolarono sotto la maglia e sulla pelle nuda più in fretta di quanto ci misi ad accorgermene. Mi piaceva ancora, nonostante questo fosse insolito da parte sua. “Forse vuole solo divertirsi per una notte” pensai. Fu a quel punto che quella maledetta sensazione tornò.
Sentendo che non opponevo resistenza Mike mi spinse delicatamente da una parte e sentii la mia schiena appoggiarsi su qualcosa di legnoso, come un vecchio scaffale. Data quella natura presentava dei ripiani per i libri, ovvero degli incavi perfetti affinché le mani di Mike potessero trovare spazio, lungo la mia schiena e più in basso.
Lo spinsi via.
O almeno ci provai, con i sensi intorpiditi dall’alcol e forse l’aria drogata non era un compito facile. Fallendo il primo tentativo e pensando che lui non se ne fosse nemmeno accorto valutai l’idea di lasciarlo fare e cedergli. Poi però questo pensiero mi fece così ribrezzo che provai un’indicibile vergogna verso di me. Realizzai che non avrei dovuto fare qualcosa, specialmente come quella, se nel profondo non lo volevo. “Ho ancora un po’ di rispetto per me stessa, cazzo.” Lo spinsi via dandogli una ginocchiata (leggera) dove non batte il sole e me ne andai diretta al piano di sopra, lasciandolo di stucco, confuso e agonizzante. Non so perché ma farlo mi dette un piacere immenso, mi sentivo di nuovo in controllo della mia esistenza.
“Dove stai andando, cara Hannah? Non lo so proprio, neanche io..” Oramai parlavo da sola canticchiando, incurante del fatto che qualcuno potesse sentirmi. Semplicemente pensai “la vita è troppo bella per curarsi di cosa pensano gli altri, se a te piace, fallo e sii te stessa.”
Terzo piano.
Di nuovo quella sensazione.
Credo che svenni in quel momento.
Al mio risveglio la musica non si era ancora fermata e i ballerini senza stile continuavano la loro danza perversa; dovevo essere svenuta per davvero poco, oppure era dannatamente tardi.
In ogni caso, io andavo per conto mio.
Stranamente non mi faceva male niente, nonostante fossi chiaramente caduta sbattendo contro una libreria. Ero felice. Cosa accade quando Hannah è felice? Pensa al perché lo è, e al fatto che ora possono solo accadere cose tristi. Detto questo. Hannah, cioè io, si fece prendere da un’angoscia improvvisa e le venne in mente che voleva trovare la sua amica Kyra, giusto per assicurarsi che andava tutto bene. Okay basta scrivere in terza persona, mi fa troppo ridere.
Come ho scritto, era fottutamente notte fonda e si sa, i freni inibitori e la morale si allentano dopo le due. Per non parlare dell’atmosfera viziata di alcol e sostanze varie.
“Trova Kyra. Vedrai starai meglio.”
Mi alzai da terra e sentii un leggero tonfo, un altro libro era caduto dalla libreria? O forse ce l’avevo addosso e non me ne ero accorta? Non lo seppi mai e sinceramente non me lo chiesi, lì per lì. Lo raccolsi per metterlo a posto, nonostante ce ne fossero altri per terra, e tuttavia non ci riuscii. Sembrava un blocco note, ricoperto di un nero morbido, forse pelle, e inoltre era molto leggero. Lo presi con me. “Che cosa buffa, vai a una festa in una libreria abbandonata e ti porti via un libro.” Avrei dovuto dire: “che cosa ironica”.
Pensai di pingare Kyra ma non volevo rischiare di disturbarla, non si sa mai.
Così proseguii lungo il piano, che scoprii essere il terzo, e non avendola trovata tornai giù al secondo. Non era nemmeno lì.
Me stavo lì tutta rassegnata, appoggiata alla ringhiera ad osservare la pista da ballo là sotto, quando notai un luccichio alla mia sinistra in alto e vidi due figure indistinte nell’attimo in cui scomparivano, addentrandosi nel labirinto di scaffali e libri dimenticati. Non l’avevo vista, ma ne era sicura, una delle due figure doveva esser Kyra. C’è bisogno di dirlo che cominciai a correre?
Arrivata al quarto piano rallentai, la musica era attutita dalla distanza e non volevo farmi sentire. Mentre il mio respiro si calmava camminai lungo la balconata centrale e trovai il punto in cui li avevo visti. Ovviamente non erano più lì. Pensai un attimo tra me e me: “Dove potrebbero essere andati? Da che parte? Okay Hannah, supponi di essere Kyra, da che parte andresti?”
Procedevo alla cieca, nel buio, le orecchie tese alla ricerca di un suono, una voce, un passo. O magari un bacio.
Ad un certo punto li trovai.
Loro non si accorsero di me anche se ero molto vicina e mi fermai non appena li vidi quasi con un sussulto. Come immaginavo si stavano divertendo anche loro: non conoscevo il ragazzo, ma pareva gentile, i loro baci erano lenti, appassionati, quasi troppo calmi. Mi compiacqui mentalmente con me stessa per averli trovati e per aver prestato quell’abito alla mia amica, era un incanto.
Eppure, era un incantesimo destinato a spezzarsi.
Lui cominciò, poco per volta, ad alzare la posta in gioco. Si faceva più sfacciato e meno delicato, quasi come se non avesse più pazienza. Lo vedevo giocherellare con i capelli di Kyra con una mano, mentre le sfiorava il collo con le labbra, e l’altra scendeva lungo la nuda schiena. Lei non sembrava preoccuparsene, neanche quando lui portò i suoi sudici baci sulla scollatura che separava in due il suo seno. Tuttavia capì dove voleva portarla, metaforicamente, e tentò di divincolarsi gentilmente, ma senza successo. La sua insistenza si rifletteva negli occhi di Kyra dove però lessi solo una cosa: terrore.
Mi avvicinai puntando dritto a quello schifoso bastardo che si fregò da solo. Non avevo un’idea precisa di cosa fare, successe che, non aspettandosi visite, rimase un istante confuso e rivolto verso di me. Così lo colpii come con Mike. Però più cattiva.
Poi presi per mano Kyra e la portai, senza una meta, oltre il quinto piano.
Scoprimmo che c’era un tetto e che era accessibile; ci andammo subito.
Nessuna di noi due disse nulla per un po’. Ci limitavamo a guardarci negli occhi, abbracciate, illuminate dalla luna.
Lei notò il libro che sporgeva dalla tasca gigante del mio pijama.
“Dove l’hai trovato quello?” chiese abbozzando un sorriso.
“Beh, è andata che sono svenuta e poi ce l’avevo addosso.”
Lei lo prese e cercò di leggere qualcosa sulla copertina.
“Non si capisce. Sembra… che ci sia scritto qualcosa, ma non si legge più.”
“In realtà non so nemmeno perché l’ho preso…”
“Hai una penna?” Mi interruppe lei. “Oh, non serve, c’è una matita nella rilegatura.”
“Ah, si? Cazzo, non l’avevo notata.” In effetti non l’avevo nemmeno aperto.
“Uhm, magari è un libro dei desideri, ha solo pagine vuote, di color giallo ocra. Dovresti scriverci qualcosa Hannah.” Pensai stesse scherzando, ma quando alzai lo sguardo vidi il contrario. E per tutta risposta, sprezzante come al mio solito, presi il libro e scrissi: “15 minuti di tempo”. Dopodiché lo rimisi in tasca e me ne dimenticai.
Kyra.
Come posso descrivere ciò che provai? A volte le parole mi sembrano più un compromesso che uno strumento utile. Forse sono io che non ne conosco abbastanza, o che non so usarle com vorrei.
Kyra è sempre stata fantastica, la mia migliore amica (se non l’unica) dal primo giorno di scuola. Quel giorno ce l’avevo con il mondo. Persa nei miei pensieri di vendetta non avevo fatto attenzione a dove mettevo i piedi e ci eravamo scontrate. Mi colpì più nel cuore che nel fisico, invece che prendersela con me o rispondermi a tono, dato che io non ero certo gentile con le persone, aveva scherzato sulla questione e si era messa a ridere, come se il mondo dopo di noi non esistesse. Come se noi fossimo il mondo. “Come se tu fossi il suo mondo” mi sorpresi a pensare. Da quel giorno siamo diventai inseparabili, abbiamo condiviso tutto: dal cioccolato preso di nascosto al bar della scuola, alle avventure con i ragazzi, lo shopping, le feste, le vacanze. Per non parlare delle mie teorie sulla vita e delle sue idee sul fuggire lontano da tutti e da tutto, da sole immerse nella natura. Io per lei e lei per me. Ora tutto assumeva un senso diverso. Forse ciò che avevo sempre cercato era sempre stato lì davanti a me. In piena vista.
Occhi di un verde vivace, capelli color crema e una vitalità coinvolgente.
Sottrarsi a Kyra non era fattibile, lei la tempesta e io la piccola barca che cerca di attraversarla. La cosa buffa, o ironica, è che una volta che l’hai passata, la tempesta ti manca. Quella sensazione di avventura, di rischio, del terrore mescolato allo stupore. Un milkshake alla vita. Voglio un milkshake di vita.
“Kyra,” annunciai solenne, “voglio un milkshake al gusto Vita.” “e lo voglio con te.”
Lei mi guardò come se mi vedesse per la prima volta, poi chiuse lentamente gli occhi e li riaprì dicendo: “Finalmente… non sai da quanto aspettavo lo dicessi…” e lasciò cadere le ultime parole nell’aria, non ero sicura nemmeno che le avesse dette. Me l’ero immaginate?
Non era possibile.
Sapete perché?
Beh ecco.
La baciai.
Lei ricambiò.
Ecco il mio milkshake di vita. La luna, il vento nei capelli e Kyra.