May 14, 2022

IL CORRELATIVO OGGETTIVO DA ELIOT A GOVONI

In Govoni troviamo in continuazione una corrispondenza e rapporto tra oggetti, eventi, situazioni ed evocazione di sensazioni di stampo simbolista che possiamo definire a pieno titolo correlativo oggettivo, tecnica poetica che troverà il suo teorizzatore in Eliot,che così lo spiega nel suo famoso saggio Tradition and the Individual Talent:

Bisogna in ogni caso insistere sul fatto che il poeta deve sviluppare o acquisire la coscienza del passato e continuare a svilupparla per tutta la sua carriera. Ciò facendo, il poeta procede a una continua rinuncia al proprio essere presente, in cambio di qualcosa di più prezioso. La carriera di un artista è un continuo autosacrificio, una continua estinzione della personalità. Resta da definire questo processo di spersonalizzazione e il suo rapporto con la coscienza di appartenere a una tradizione. In questo processo di sper­sonalizzazione si può dire che l'arte si avvicina alla condizione della scienza. Vi inviterò perciò a considerare questo esempio suggestivo: la reazione cioè che si verifica quando si introduce un pezzetto di sottile filo di platino in un ambiente contenente ossigeno e biossido di zolfo. [...] L'esempio era quello del catalizzatore. Quando i due gas che ho menziona­to vengono mescolati alla presenza di un filamento di platino, essi formano dell'acido solforico. La combinazione si verifica solo in presenza del platino, e ciononostante nell'acido che si è formato non c'è traccia di platino, né il fi­lamento risulta toccato dal processo; è rimasto inerte, neutrale, immutato. La mente del poeta è il filo di platino. Essa può agire parzialmente o esclusiva­mente sull'esperienza personale di quell'uomo, eppure, quanto più perfetto è l'artista, tanto più rigorosamente separati resteranno in lui l'uomo che sof­fre e la mente che crea, tanto più perfettamente la mente assimilerà e trasmu­terà le passioni che sono il suo materiale. [...] Il solo modo di esprimere emozioni in forma d'arte è di scoprire un «cor­relativo oggettivo»; in altri termini una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che saranno la formula di quella emozione particolare; tali che quando i fatti esterni, che devono terminare in esperienza sensibile, siano dati, venga immediatamente evocata l'emozione.

Un testo che si sviluppi intorno alla concentrazione sull’io e non sull’esterno difficilmente risulterà valido ed emozionante se non per chi lo ha scritto. E’ un evento contingente, limitato che non comunicherà nulla di più dell’evento stesso e quindi risulterà poco efficace. Sarà un messaggio esplicito privo di rimandi e quindi non riferibile a chiunque ma solo alla limitata esperienza di chi scrive.

Invece, una poetica incentrata sull’esterno, sugli oggetti, quand’anche l’oggetto appartenga all’esperienza privata del poeta, media e crea quella reazione magica che scatenerà in ognuno di noi un moto, un’emozione, che avremo modo di interpretare ciascuno a proprio modo.

Così è per Eliot stesso e così è per Montale, colui che tra gli italiani più assorbì la lezione eliotiana. Su Montale c’è da aggiungere che il correlativo oggettivo spesso si confonde o si sovrappone agli oggetti totemici e salvifici, tipici e peculiari della sua poesia, ma ciò non toglie quell’universalità che deriva dall’osservazione del mondo e dalla sua trasposizione sul testo. Per Montale il discorso è valido in massima parte per le prime tre raccolte, che rappresentano la più importante e significativa parte della sua poesia. Dopo, l’io entrerà sempre più nelle considerazioni, la lirica abbasserà le sue ambizioni e il correlativo oggettivo cadrà per cedere il posto ad un altro modo di riflettere e poetare.

Naturalmente ciò che Eliot teorizzò non fu una sua invenzione: egli individua il correlativo oggettivo nella grande poesia del passato laddove siano presenti simboli che possano corrispondere a quel rapporto di causa-effetto. Pensiamo a Dante e al suo linguaggio allegorico: la selva oscura, le fiere e via via tutti i momenti della Commedia che è di per sé un simbolo in cui sono racchiusi simboli. Oppure, facendo un balzo in avanti, a quella tempra culturale chiamata appunto simbolismo: in primis con Baudelaire (Pensiamo al celebre Corrispondenze) e, in Italia, con Pascoli, in cui tutto è simbolo, tutto rimanda ad altro e (come si diceva) non conta che il simbolo appartenga al privato di chi scrive, perché il simbolo è utilizzato per provocare un sentimento che vale per tutto il genere umano.

Lì risiede la grandezza di un’opera d’arte! Facciamo un esempio che esula dalla poesia: i paesaggi di Van Gogh erano suoi, della sua quotidianità, certo, ma il suo modo di interpretarli provoca nello spettatore un’emozione che può condurlo a qualcosa della propria esperienza, che magari nulla ha a che fare con quella del pittore olandese. L’Olanda è un tema, un “oggetto” che però diventa cosmico, come cosmici sono il Mediterraneo ligure di Montale, la campagna di Pascoli, l’Inghilterra di Eliot in The Waste Land o in The Four Quartets.

Quello che si crea è, ripeto, una magia, uno scarto che avviene nella nostra mente e che ci restituisce l’emozione di un ricordo, di un’esperienza o, anche, genera qualcosa che fino ad ora non avevamo vissuto o pensato. In quest’ultimo caso, la poesia può generale sensazioni ed emozioni ex novo, oppure far emergere un sentire che era dentro di noi e che solo la poesia, con la sua arte magica, riesce a risvegliare e in modo da rendercene coscienti.

E Govoni? Se seguiamo Eliot, allora anche la poesia di Govoni è tutta o quasi un susseguirsi inesauribile di correlativi oggettivi, con le sue immagini, la sua natura e la vitalità non solo degli esseri viventi ma anche degli oggetti che, nelle mani artefici del poeta, prendono vita trasformandosi, simboleggiando e suggerendo quindi un sentimento, un'emozione.

Alberto Bertoni, in Corrado Govoni (Atti delle giornate di studio, Ferrara, 5-7 maggio 1983, a cura di Anna Folli), fa notare come tutto Govoni sia intriso di un sostrato simbolico che ha come scopo la "sintonia tra i sensi umani e la natura umana atteggiata in forme umano-divine". Bertoni qui fa un riferimento specifico alla prosa govoniana del romanzo Censura, poi pubblicato come Uomini sul Delta, ma le stesse categorie sono perfettamente applicabili alla poesia. E’ inoltre da notare come in Govoni la corrispondenza oggetto-emozione si unisce sovente a quell'atmosfera tipicamente panica di fusione con la natura circostante: citando ancora Bertoni, l'artista-fanciullo "s’imbeve di tutte le “forme e i colori” del reale".

Ancora, il correlativo oggettivo in Govoni può risultare chiarissimo, come spiega Virginia di Martino nella sua bellissima tesi di laurea “Figurazioni dell’acqua nella poesia italiana del primo Novecento”, prendendo come esempio questi versi tratti da Armonia in grigio et in silenzio:

O acquerugiola lenta e blanda
che abbeveri gli insetti,
e de la tua molle ghirlanda
cingi i poveri tetti!
O acquerugiola lenta e triste
che ingemmi i ragnateli,
e con le mani ornatiste
stilizzi i secchi steli!
Si schiude un’imposta su l’orto
col rosmarino aulente;
una campana suona a morto
malinconicamente
(Su la mia finestra, la pioggia, p. 29, vv. 9-20).

La pioggia, dunque, è diventata riferimento esterno, “correlativo oggettivo”, della tristezza del poeta: è «acquerugiola» che non fonda miti di immedesimazione panica con l’elemento, bensì svolge l’umile mansione di dissetare gli insetti, di inghirlandare «poveri tetti» (e si noti il contrasto tra ciò che evoca il richiamo alla «ghirlanda» e la povertà dell’oggetto cui la stessa ghirlanda è destinata).

Tristezza del poeta sì, ma pur sempre qualcosa che può coinvolgerci tutti; che vale per tutti; che riguarda tutti.

Govoni è di fatto un poeta che non cede alla tentazione della poetica dell’io: la sua è una poesia degli oggetti, dell’osservazione continua dell’esterno. Più questo atteggiamento cresce più ci sarà quella cosmicità rappresentata dagli oggetti e dalle situazioni trasposte in poesia. Viceversa, più l’io prenderà sopravvento, meno avremo dall’arte quel messaggio che ci aspetteremmo di avere.

Il messaggio non è mai esplicito, altrimenti si cadrebbe nella particolarità, nell’ovvio e nella banalità. Il messaggio è suggerito, è mediato dall’oggetto che, a contatto con la mente, creerà la reazione.

Quando si parla della cosiddetta “attualità” di un autore di un’altra epoca, è a questo che si fa riferimento. Settecento anni non sono bastati a scalfire la forza di Dante, come un secolo non ha ucciso (anche se l’editoria non è stata complice in questo) la freschezza e la meraviglia che Govoni ci dona ad ogni suo andare a capo per scrivere un nuovo meraviglioso verso.